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Leucemia dei grandi linfociti granulati (Large Granular Lymphocytes Leukemia, LGLL) – Eziopatogenesi

L’eziologia di questo tipo di leucemia non è nota, comunque è stato ipotizzato che una espansione delle cellule leucemiche CD 3+ possa procedere per fasi successive. Le cellule leucemiche della LGLL-T mostrano tutte le caratteristiche di linfociti T attivati dall’antigene, suggerendo che la fase iniziale della espansione dei LGL sia conseguente alla stimolazioni antigenica virale o da parte di autoantigeni. L’ipotesi eziopatogenetica prevalente è che uno o più antigeni virali o autologhi, ancora da identificare, inneschi l’espansione iniziale di linfociti citossici che poi viene perpetuata nel tempo dalla sovraregolazione di diverse vie di segnalazione cellulari, prima fra tutte la via JAK/STAT

Al microscopio ottico, rispetto ai piccoli linfociti, i LGL hanno  dimensioni maggiori, un rapporto nucleo-citoplasmatico più basso, citoplasma più abbondante e pallido che contiene un numero variabile di granuli azurofili; il nucleo ha in genere contorni rotondeggianti ma può essere indentato

I grandi linfociti granulati (Large Granular Lymphocytes, LGL)

I Grandi Linfociti Granulati (LGL) costituiscono  una sottopopolazione linfocitaria morfologicamente distinta dai classici linfociti. In condizioni normali costituiscono il 10-15% delle cellule mononucleate periferiche. Il loro numero assoluto è solitamente compreso fra 200-400/µl [1].

Al microscopio ottico, rispetto ai piccoli linfociti, i LGL hanno  dimensioni maggiori, un rapporto nucleo-citoplasmatico più basso, citoplasma più abbondante e pallido che contiene un numero variabile di granuli azurofili; il nucleo ha in genere contorni rotondeggianti ma può essere indentato

castleman ialina

Malattia di Castleman – Classificazione istologica

e che il quadro istologico  sia conforme  con i classici criteri istopatologici della malattia di Castleman [1–3]. Per oltre 50 anni, la classificazione istopatologica della CD è stata suddivisa in tre varianti o tipi principali: 1) ialina vascolare, che rappresenta il 70% dei casi totali di malattia di Castleman; 2)  plasmacellulare, che costituisce il 20-25% dei casi; 3) mista,  che contribuisce per il restante 5-10%.Ogni variante istologica è associata a una vasta gamma di manifestazioni cliniche, per cui  l’istopatologia dovrebbe essere utilizzata per decidere se un paziente ha la malattia di Castleman, ma non può rappresentare  l’unica guida per  gestione clinica del paziente [7]. Il riconoscimento delle varianti  richiede  infatti l’integrazione delle  caratteristiche cliniche con le informazioni dalle metodiche  imaging e istologiche [6].

classificazione delle neoplasie cellulari who

Neoplasie delle plasmacellule – Introduzione e Classificazione

Le neoplasie plasmacellulari, o discrasie plasmacellulari, costituiscono un gruppo eterogeneo di sindromi causate dalla proliferazione di un clone di linfociti B maturi che mantiene la capacità di differenziazione in senso plasmacellulare e produce nella maggioranza dei casi molecole di immunoglobuline elettroforeticamente e immunologicamente omogenee (monoclonali). L’espansione clonale può restare silente per anni e non dare segno di sé durante tutta la vita del paziente oppure, raramente, biologicamente e clinicamente maligna ed estrinsecarsi con diversi quadri clinici, fra i quali i più noti sono il mieloma multiplo, la leucemia plasmacellulare, la macroglobulinemia di Waldenström, il plasmocitoma solitario dell’osso, il plasmocitoma extramidollare.

classificazione della malattia di Castleman

Malattia di Castleman – Cenni storici e Definizioni

I numerosi sinonimi con i quali la malattia di Castleman  è nota, fra i quali iperplasia angiofollicolare linfonodale  e iperplasia gigante linfonodale sono quelli più ricorrenti, riflettono l’incertezza sulla sua eziopatogenesi. Per molto tempo la rarità della malattia ha precluso l’effettuazione di studi clinici, ed il mistero attorno all’eziopatogenesi ha allontanato l’interesse dei ricercatori, la cui curiosità è stata rinnovata dalla scoperta che la malattia di Castleman  ed il sarcoma di Kaposi che insorgono nei pazienti HIV-1+ sono entrambi causati da un virus erpetico, HHV8 o Human Herpetic Virus 8.

dimwnsioni particolato rispetto a capello umano

Inquinamento atmosferico – Classificazione e patogenicità dei particolati e degli inquinanti atmosferici

Secondo l’organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO), quasi 9 su 10 delle persone residenti in aree urbane sono esposte all’inquinamento dell’aria atmosferica, L’esposizione all’inquinamento atmosferico è al 9º posto fra i principali fattori di rischio per mortalità, e l’inquinamento atmosferico outdoor causa 3.200.000 morti ogni anno. Gli inquinanti particolati o corpuscolati presenti nell’aria atmosferica sono costituiti da una miscela di particelle liquide e solide che possono rimanere sospese anche per lunghi periodi ed essere trasportate anche a distanza dal luogo di emissione, dove si depositano contaminando l’ambiente. Le dimensioni delle polveri atmosferiche condizionano la capacità di penetrazione nelle vie respiratorie più profonde nonché il tipo e l’intensità degli effetti nocivi . In generale le particelle più grosse dimostrano una maggiore capacità di deposito frazionale nelle vie aeree superiori ed extra toraciche, mentre le particelle più piccole, per esempio il PM 2.5, si depositano maggiormente nelle vie aeree inferiori. Il particolato ultrafine è dotato potenzialmente di una maggiore tossicità biologica potendo passa direttamente nel sistema circolatorio e disseminandosi a livello sistemico. Il danno per i tessuti umani causato dagli inquinanti gassosi dipende dalla loro solubilità in acqua nonché dalle rispettive concentrazioni, dalla capacità di ossidare i tessuti e dalla predisposizione del singolo soggetto. Fra i gas più pericolosi per la salute umana si annoverano l’ozono, gli ossidi nitrici e di zolfo, l’anidride carbonica e il monossido di carbonio. Molti degli inquinanti sono classificati come sicuramente cancerogeni per l’uomo. Oltre alla riconosciuta cancerogenicità, gli inquinanti possono modificare l’epigenoma causando danni trasmissibili alle generazioni successive senza modificare la sequenza del DNA. Inducono inoltre stress ossidativo e alterazioni della risposta immunitaria con ripercussioni anche su organi e tessuti distanti dalle vie respiratorie.

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Terapia

La terapia del plasmocitoma osseo solitario si basa principalmente sulla radioterapia locale a dosi adeguate; il ruolo della chemioterapia adiuvante e nei casi ad alto rischio è controverso, mentre la chirurgia ha un’importanza limitata alla riparazione delle fratture vertebrali e agli interventi di laminectomia decompressiva. In base ai risultati degli studi clinici la RT è il trattamento raccomandato per il plasmocitoma solitario, alla dose di 40-50 Gy in 4-5 settimane, alla dose di 1,8-2 Gy per frazione, includendo nel campo d’irradiazione un margine di 2 cm circostanti la lesione o, in caso di una lesione vertebrale, anche una vertebra sopra- ed una sotto-stante a quella sede del plasmocitoma. Nonostante i progressi e il miglioramento della sopravvivenza, una recidiva si osserva in una quota dei pazienti. Finora non sono stati pubblicati studi prospettici con i nuovi potenti farmaci antimieloma come gli inbitori del proteasoma (bortezomib, ixazomib, e carfilzomib), i farmaci immunomodulanti (talidomide, lenalidomide, e pomalidomide) o gli anticorpi monoclonali (elotuzumab e daratumumab).

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Diagnosi

La progressione a mieloma multiplo compare nel 50-60% dei pazienti con plasmocitoma solitario osseo durante il decorso della loro malattia. Numerosi fattori prognostici sono stati associati alla prognosi al momento della diagnosi iniziale e prima dell’inizio della terapia nei pazienti con plasmocitoma solitario osseo: l’età; il gruppo etnico d’appartenenza; le dimensioni del tumore; la localizzazione (ossea o nei tessuti molli); la presenza di una componente monoclonale o di un alterato rapporto fra catene leggere delle immunoglobuline libere nel siero e/o nelle urine che scompaiono dopo la terapia; la presenza di plasmacellule clonali nel midollo osseo (malattia occulta); la presenza di lesioni aggiuntive a quella primaria alla risonanza magnetica nucleare o alla PET-TAC. Fra questi, la presenza di plasmacellule neoplastiche nel midollo e la dimostrazione di aree di captazione aggiuntive alla PET-TAC o di altre lesioni alla risonanza magnetica nucleare oltre a quella iniziale sono probabilmente i più potenti fattori associati alla prognosi nei pazienti con tumori plasmacellulari apparentemente localizzati. Tuttavia, mancano studi prospettici su un numero adeguato di pazienti nei quali tali fattori siano stati adeguatamente valutati.

Plasmocitoma extramidollare

I plasmocitomi extramidollari (PEM) sono tumori delle plasmacellule che originano nei tessuti molli al di fuori del midollo. Sono localizzati nella regione della testa del collo (vie aeree e digestive superiori) in oltre il 90% dei casi, ma sono stati osservati praticamente in ogni organo e tessuto.

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma solitario – Storia naturale e prognosi

La progressione a mieloma multiplo compare nel 50-60% dei pazienti con plasmocitoma solitario osseo durante il decorso della loro malattia. Numerosi fattori prognostici sono stati associati alla prognosi al momento della diagnosi iniziale e prima dell’inizio della terapia nei pazienti con plasmocitoma solitario osseo: l’età; il gruppo etnico d’appartenenza; le dimensioni del tumore; la localizzazione (ossea o nei tessuti molli); la presenza di una componente monoclonale o di un alterato rapporto fra catene leggere delle immunoglobuline libere nel siero e/o nelle urine che scompaiono dopo la terapia; la presenza di plasmacellule clonali nel midollo osseo (malattia occulta); la presenza di lesioni aggiuntive a quella primaria alla risonanza magnetica nucleare o alla PET-TAC. Fra questi, la presenza di plasmacellule neoplastiche nel midollo e la dimostrazione di aree di captazione aggiuntive alla PET-TAC o di altre lesioni alla risonanza magnetica nucleare oltre a quella iniziale sono probabilmente i più potenti fattori associati alla prognosi nei pazienti con tumori plasmacellulari apparentemente localizzati. Tuttavia, mancano studi prospettici su un numero adeguato di pazienti nei quali tali fattori siano stati adeguatamente valutati.

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