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Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Terapia

La terapia del plasmocitoma osseo solitario si basa principalmente sulla radioterapia locale a dosi adeguate; il ruolo della chemioterapia adiuvante e nei casi ad alto rischio è controverso, mentre la chirurgia ha un’importanza limitata alla riparazione delle fratture vertebrali e agli interventi di laminectomia decompressiva. In base ai risultati degli studi clinici la RT è il trattamento raccomandato per il plasmocitoma solitario, alla dose di 40-50 Gy in 4-5 settimane, alla dose di 1,8-2 Gy per frazione, includendo nel campo d’irradiazione un margine di 2 cm circostanti la lesione o, in caso di una lesione vertebrale, anche una vertebra sopra- ed una sotto-stante a quella sede del plasmocitoma. Nonostante i progressi e il miglioramento della sopravvivenza, una recidiva si osserva in una quota dei pazienti. Finora non sono stati pubblicati studi prospettici con i nuovi potenti farmaci antimieloma come gli inbitori del proteasoma (bortezomib, ixazomib, e carfilzomib), i farmaci immunomodulanti (talidomide, lenalidomide, e pomalidomide) o gli anticorpi monoclonali (elotuzumab e daratumumab).

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Diagnosi

La progressione a mieloma multiplo compare nel 50-60% dei pazienti con plasmocitoma solitario osseo durante il decorso della loro malattia. Numerosi fattori prognostici sono stati associati alla prognosi al momento della diagnosi iniziale e prima dell’inizio della terapia nei pazienti con plasmocitoma solitario osseo: l’età; il gruppo etnico d’appartenenza; le dimensioni del tumore; la localizzazione (ossea o nei tessuti molli); la presenza di una componente monoclonale o di un alterato rapporto fra catene leggere delle immunoglobuline libere nel siero e/o nelle urine che scompaiono dopo la terapia; la presenza di plasmacellule clonali nel midollo osseo (malattia occulta); la presenza di lesioni aggiuntive a quella primaria alla risonanza magnetica nucleare o alla PET-TAC. Fra questi, la presenza di plasmacellule neoplastiche nel midollo e la dimostrazione di aree di captazione aggiuntive alla PET-TAC o di altre lesioni alla risonanza magnetica nucleare oltre a quella iniziale sono probabilmente i più potenti fattori associati alla prognosi nei pazienti con tumori plasmacellulari apparentemente localizzati. Tuttavia, mancano studi prospettici su un numero adeguato di pazienti nei quali tali fattori siano stati adeguatamente valutati.

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