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Granuli azurofii nei leucociti

Sindrome di Chediak-Higashi

La sindrome di Chediak-Higashi (SCH) (OMIM 214500) è una rara malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva caratterizzata da infezioni ricorrenti, albinismo parziale, anomalie neurologiche multiple, presenza di granuli citoplasmatici anomali nei neutrofili [1]. La SCH è causata da mutazioni omozigoti o eterozigoti composite del gene LYST (OMIM*606897) che codifica per una proteina importante per la funzione dei granulociti neutrofili.
La terapia è fondata sulla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa ogni 3-4 settimane e sulla profilassi e la terapia antibiotica delle infezioni. Il trapianto di midollo è stato usato con successo in alcune delle sindromi, mentre la terapia genica è ancora in una fase sperimentale.

struttura tridimensionale della proteina CD40

Immunodeficienza da deficit di CD40

Il CD40 è un recettore espresso sulla superficie delle cellule B mature normali e neoplasiche, ma non  sulle plasmacellule . È anche espresso su monociti, cellule dendritiche, cellule endoteliali e cellule epiteliali.Mutazioni di CD40 causano la mancata espressione della proteina sulla superfice cellulare e aboliscono le interazioni con CD40L. Le conseguenze cliniche sono la comparsa di una sindrome da iper-IgM (HIGM-3) a trasmissione autosomica recessiva (OMIM#606843), indistinguibile dalla HIGM-1 causata dal deficit di CD40L. Anche il procedimento diagnostico e la terapia sono simili alle altre forme di sindrome da iper-IgM, informazione relative alle quali possono essere reperite sul sito.
La terapia è fondata sulla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa ogni 3-4 settimane e sulla profilassi e la terapia antibiotica delle infezioni. Il trapianto di midollo è stato usato con successo in alcune delle sindromi, mentre la terapia genica è ancora in una fase sperimentale.

Enzima UNG

Immunodeficienza da deficit di uracile-DNA glicosilasi (UNG)

L’uracile-DNA glicosilasi (UNG; EC 3.2.2.3) rimuove l’uracile nel DNA formatosi dalla deaminazione della citosina o dall’incorporazione di dUMP anziché di dTMP durante la duplicazione del DNA. Pertanto, l’attività enzimatica di UNG impedisce la comparsa di mutazioni del DNA derivanti dalla sostituzione di GC con AT [1]. Il gene UNG (OMIM*191525) è localizzato sulla banda cromosomica 12q24.11 [8]. Le mutazioni omozigoti o eterozigoti composite di UNG nell’uomo ricapitolano il fenotipo murino UNG -/- con incapacità di compiere il cambio (switch) di classe delle immunoglobuline e l’ipermutazione somatica necessaria per la creazione di un repertorio anticorpale con elevata specificità antigenica, cioè IgA, IgG e IgE al posto delle IgM sulla superficie dei linfociti B e nel siero. Le mutazioni del gene UNG causano la sindrome da iper-IgM di tipo 5 (HIGM5, a trasmissione autosomica recessiva (OMIM# 608106)
La terapia è fondata sulla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa ogni 3-4 settimane e sulla profilassi e la terapia antibiotica delle infezioni. Il trapianto di midollo è stato usato con successo in alcune delle sindromi, mentre la terapia genica è ancora in una fase sperimentale.

CD40-CD40L e interazio ni sui linfociti

Le sindromi da iper-IgM

Le sindromi da iper-IgM sono un gruppo di rare immunodeficienze primitive congenite ed ereditarie caratterizzate da: infezioni ricorrenti ad insorgenza precoce, diminuzione o assenza nel siero di IgG e IgA con livelli di IgM nel siero normali o aumentati. In alcune di queste forme sono caratteristiche le infezioni con patogeni opportunisti. I pazienti sono anche predisposti a sviluppare neoplasie e malattie autoimmuni di vario tipo. Si tratta di sindromi fenotipicamente e geneticamente eterogenee, conseguenti a difetti genetici che alterano i processi di “class switch recombination” (il cambio di classe o isotipo delle immunoglobuline”) e di ipermutazione somatica” che consentono la formazione di anticorpi di classe diversa dalle IgM, cioè di IgG, IgA, IgE . Classicamente si riconoscono almeno cinque geni le cui mutazioni sono causa della sindrome da iper IgM: CD40, CD40L, AID, NEMO E UNG. Oggi tuttavia sono noti diverse altre mutazioni genetiche associate ad aumento delle IgM che devono essere cercate nei casi negativi per le forme “classiche”. Le manifestazioni cliniche e la trasmissione ereditarie non sono uniformi, ma aiutano ad indirizzarsi verso il tipo di difetto genetico, per la cui diagnosi definitiva è necessaria in genere l’analisi mutazionale.
La terapia è fondata sulla somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa ogni 3-4 settimane e sulla profilassi e la terapia antibiotica delle infezioni. Il trapianto di midollo è stato usato con successo in alcune delle sindromi, mentre la terapia genica è ancora in una fase sperimentale.

CD40-CD40L e interazio ni sui linfociti

Displasia ectodermica anidrotica con immunodeficienza o deficit di IkKγ (NEMO)

Il gene IkKγ codifica per una proteina che, assieme a due altre subunità denominate IkKalfa e IkKgammabeta, forma il complesso enzimatico IkBK (IKK). IkBK catalizza la fosforilazione di IkB, l’inibitore fisiologico di NFkB, uno dei più importanti fattori di trascrizione che regolano la risposta immunitaria. I pazienti con deficit di IK mostrano un fenotipo molto variabile in parte sovrapponibile con quello delle sindromi da iper-IgM. Il deficit di IK si manifesta con immunodeficienza, displasia ectodermica con infezioni ricorrenti e anomalie a carico della cute, delle ghiandole sudoripare, dei denti, dei capelli, dei vasi retinici. Il trattamento di questi pazienti richiede una terapia/profilassi con immunoglobuline e antibiotici (cotrimossazolo, penicillina) a largo spettro, spesso continuativa. Una sopravvivenza del 74% a 5 anni è stata riportata in soggetti che avevano ricevuto il trapianto di cellule staminali emopoietiche. L’esame istologico delle biopsie tessutali o autoptiche non evidenzia caratteristiche distintive, per cui è necessario mantenere un elevato indice di sospetto clinico per una diagnosi precoce del deficit di NEMO.

struttura tridimensionale gene ZNF341

Immunodeficienza da Deficit di Adenilato Chinasi  (AK2)

Il  deficit  di adenilato chinasi  2 (AK2) causa la disgenesia reticolare, un’immunodeficienza combinata grave di tipo SCID T-B-NK- associata ad agranulocitosi e sordità neurosensoriale bilaterale. La disgenesia reticolare è trasmessa  con modalità  autosomica recessiva ed è una delle cause più rare di SCID, di cui rappresenta meno del 2% del totale. Il deficit della disgenesia reticolare si manifesta con  infezioni ricorrenti causate da patogeni opportunistici, malattia del trapianto contro l’ospite (GVHD) secondaria all’attecchimento di linfociti  T materni e sordità neurosensoriale bilaterale. Senza trapianto di midollo, la disgenesia reticolare ha un esito fatale.

Le adenilato chinasi catalizzano la fosforilazione reversibile tra nucleosidi trifosfati e monofosfati. La sopravvivenza, la proliferazione e le funzioni effettrici delle cellule immunitarie sono regolate dal mantenimento di adeguate concentrazioni di ATP all’interno della cellula e dell’omeostasi di quello che è stato definito l’immunometabolismo [1]. La proteina AK2 è codificata dal gene Adenilato kinasi 2, (OMIM*103020) noto anche come miochinasi mitocondriale  che mappa sul cromosoma 1p35.1. Il deficit di AK2 è da alcuni considerato fra le mitocondriopatie [2].

struttura tridimensionale gene ZNF341

Immunodeficienza da Deficit di Zinc finger protein 341 (ZNF341) o HIES-3

ZNF341 è un fattore di trascrizione nucleare di tipo zinc finger che si lega al promoter di numerosi geni, fra i quali STAT3. Mutazioni Loss of Function eterozigoti di ZNF341, un gene precedentemente sconosciuto, causano una ridotta espressione di STAT3 con bassi livelli basali di mRNA e di proteina di STAT3. Le mutazioni di ZNF341 causano la sindrome da ipereosinofilia di tipo 3 (HIES-3) (OMIM*618269), un fenotipo con anomalie ematologiche e immunitarie (atopia, infezioni ricorrenti, eosinofilia, iper-igE, riduzione dei linfociti Th17 e dei linfociti B memoria, aumento dei linfociti Th2) simili a quelle che si osservano nei pazienti con HIES-1.

Il plasma convalescente nelle epidemie/pandemie

Il plasma convalescente, o iperimmune, è stato utilizzato come strumento per fornire una rapida protezione (immunità passiva) a pazienti in gravi condizioni nel corso di numerose epidemie/pandemie, in genere di origine virale e per le quali non esistono efficaci terapie aldilà di una terapia di supporto. La trasfusione di plasma da soggetti convalescenti dopo una recente infezione presuppone il trasferimento di anticorpi preformati presenti nel siero di donatori ex pazienti guariti da una recente infezione a pazienti non ancora immunizzatisi attivamente per proprio conto. Per quanto riguarda oltre   30 patologie infettive,  l’efficacia dell’immunizzazione passiva nella prevenzione delle malattie infettive è stata dimostrata per: tetano, Clostridium botulinum, epatite A, epatite B, RSV (virus respiratorio sinciziale), CMV (citomegalovirus), VZV (virus della varicella zoster), rabbia, morbillo e vaccinia. Inoltre, l’efficacia  dell’immunizzazione passiva è stata dimostrata, ma non è  raccomandata,  per il trattamento di alcune  infezioni batteriche, (Streptococcus, Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis e Haemophilus influenzae) e  parvovirus

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Terapia

La terapia del plasmocitoma osseo solitario si basa principalmente sulla radioterapia locale a dosi adeguate; il ruolo della chemioterapia adiuvante e nei casi ad alto rischio è controverso, mentre la chirurgia ha un’importanza limitata alla riparazione delle fratture vertebrali e agli interventi di laminectomia decompressiva. In base ai risultati degli studi clinici la RT è il trattamento raccomandato per il plasmocitoma solitario, alla dose di 40-50 Gy in 4-5 settimane, alla dose di 1,8-2 Gy per frazione, includendo nel campo d’irradiazione un margine di 2 cm circostanti la lesione o, in caso di una lesione vertebrale, anche una vertebra sopra- ed una sotto-stante a quella sede del plasmocitoma. Nonostante i progressi e il miglioramento della sopravvivenza, una recidiva si osserva in una quota dei pazienti. Finora non sono stati pubblicati studi prospettici con i nuovi potenti farmaci antimieloma come gli inbitori del proteasoma (bortezomib, ixazomib, e carfilzomib), i farmaci immunomodulanti (talidomide, lenalidomide, e pomalidomide) o gli anticorpi monoclonali (elotuzumab e daratumumab).

Plasmocitoma solitario osseo della colonna vertebrale della terza vertebra lombare (L3). RMN. Notare l'infiltrazione della muscolatura paravertebrale e la compressione dello speco vertebrale

Plasmocitoma Osseo Solitario  – Diagnosi

La progressione a mieloma multiplo compare nel 50-60% dei pazienti con plasmocitoma solitario osseo durante il decorso della loro malattia. Numerosi fattori prognostici sono stati associati alla prognosi al momento della diagnosi iniziale e prima dell’inizio della terapia nei pazienti con plasmocitoma solitario osseo: l’età; il gruppo etnico d’appartenenza; le dimensioni del tumore; la localizzazione (ossea o nei tessuti molli); la presenza di una componente monoclonale o di un alterato rapporto fra catene leggere delle immunoglobuline libere nel siero e/o nelle urine che scompaiono dopo la terapia; la presenza di plasmacellule clonali nel midollo osseo (malattia occulta); la presenza di lesioni aggiuntive a quella primaria alla risonanza magnetica nucleare o alla PET-TAC. Fra questi, la presenza di plasmacellule neoplastiche nel midollo e la dimostrazione di aree di captazione aggiuntive alla PET-TAC o di altre lesioni alla risonanza magnetica nucleare oltre a quella iniziale sono probabilmente i più potenti fattori associati alla prognosi nei pazienti con tumori plasmacellulari apparentemente localizzati. Tuttavia, mancano studi prospettici su un numero adeguato di pazienti nei quali tali fattori siano stati adeguatamente valutati.

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